Per i bambini del Sud negli asili nido, il Governo investe fino a 31 Euro l’anno nel reggino. E il Governo vuole l’autonomia differenziata. In Sicilia 206 euro.

Di
Carmelo Finocchiaro
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26 Novembre 2022

Sugli asili nido, ormai, siamo in perenne corto circuito. Come già ci siamo detti tante volte lo Stato italiano, non quello emiliano, quello italiano, destina ad un bimbo bolognese ogni anno tremila quattrocento euro, ad un bambino reggino trentuno euro. Si, proprio così, lo scriviamo in numero così siete certi di non aver letto male, 31€.

Per un bambino che vive al Sud lo stato investe mediamente 206 euro, la metà di quello che investe nelle isole, 443 Euro, un quarto di quello che investe nel Nord-ovest, 817 Euro, un quinto del Nord-est, 1.056 Euro e un infine un sesto di quello che investe nelle regioni del centro del Paese, 1.328 Euro.
Ogni bambino, per il nostro Stato, ha un valore a seconda del luogo di nascita.

Quando poi sentite parlare di autonomia differenziata pensate, vabbè il primo obiettivo sarà sicuramente colmare queste differenze e contestualmente dotare di maggiore autonomia le regioni, invece no.

Il progetto presentato dal leghista Ministro delle riforme Roberto Calderoli non fa alcun riferimento ad un fondo di perequazione: ergo, qualora dovesse trovare attuazione quella riforma, ogni anno per l’asilo nido al bambino reggino rimarranno sempre i soliti 31 Euro e al bambino bolognese sempre 3400 Euro. Si chiama certificazione della spesa storica.

L’investimento da 4,6 miliardi del Pnrr per asili nido e scuole d’infanzia ha principalmente l’obiettivo di colmare questo gap e di permettere alle mamme di lavorare anche nel Sud dove le donne sono spesso costrette a lasciare il lavoro per la nascita di un figlio e per mancanza di assistenza pubblica.

Ma purtroppo al peggio non c’è fine, le domande di partecipazione ai bandi sono state carenti proprio nel Mezzogiorno e nei Comuni dove i posti all’asilo nido sono pochissimi.

Quindi, paradossalmente, il Pnrr rischia di ampliare ulteriormente il gap che oggi esiste sui territori, nonostante il vicolo del 40% su tutte le misure per il sud (addirittura per gli asili il 51,4%), aggiungendo posti e servizi là dove ci sono già, che per carità è sempre una cosa buona, ma senza affrontare e risolvere il tema della riduzione delle diseguaglianze.

Incapacità progettuale, burocrazia, mancanza di know how e di risorse per la gestione degli asili, rischiano di farci perdere una grossa opportunità.

I Comuni si fanno due conti, bene, partecipo al bando, prendo i soldi, realizzo l’asilo, poi come lo gestisco? Con quali risorse e con quali educatori? Si, perché nella terra del reddito di cittadinanza si fatica anche a trovare un numero di educatori sufficiente per assicurare il passaggio da una copertura del 14-15% attuale ad una del 33% riconosciuta i come livelli essenziali per la prima infanzia.

Tutto questo nonostante il governo Draghi abbia destinato risorse in legge di stabilità con un finanziamento annuo di importo crescente ai Comuni per fare fronte alle spese di gestione: 120 milioni di euro nel 2022 fino ad arrivare a 1,1 miliardi a decorrere dal 2027.

È necessario quindi prendere coscienza del problema urgentemente e fare in modo che lo Stato intervenga direttamente, anche, se è il caso, operando in maniera sostitutiva a garanzia dei diritti educativi delle bambine e dei bambini, se vogliamo veramente raggiungere i livelli essenziali in tutto il paese.

Non abbiamo tanto tempo, se l’obiettivo è quello di creare circa 264.480 nuovi posti tra asili nido e scuole dell’infanzia entro la fine del 2025, bisogna accelerare i tempi, avvalendosi della procedura semplificata prevista per il Pnrr che dovrebbe essere estesa a tutte le procedure pubbliche attraverso il nuovo Codice degli appalti. Altrimenti gli intendimenti del pnrr rischiano di restare semplicemente lettera morta.

Teresa Bellanova e Davide Faraone

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