Di Paolo Borsellino
Tutti abbiamo assistito a un grande clamore che si è fatto attorno al Maxiprocesso di Palermo: finito il Maxiprocesso, si è cominciato punto e daccapo. Ma e’ evidente, perché quando un’azione è soltanto giudiziaria e repressiva come soltanto poteva essere quella della magistratura e della polizia e non incide sulle cause di fondo del fenomeno, è chiaro che ce la saremmo dovuta ritrovare davanti così come ce la siamo ritrovata.
La verità è che vi è stata una delega inammissibile a magistrati e polizia di occuparsi essi soli della mafia, poi lo Stato non ha fatto sostanzialmente nulla; non ha fatto nulla per creare un’amministrazione della giustizia efficiente in senso soprattutto civile, a cui il cittadino si potesse rivolgere quando doveva risolvere i suoi problemi (e noi sappiamo il grande sfascio che c’era alla giustizia, soprattutto civile, in Italia): non è possibile fare una causa e concludere in tempi minori di dieci anni o dodici anni; non ha fatto nulla per dare alle pubbliche amministrazioni, soprattutto quelle locali (mi riferisco in particolare al Meridione, ma ci sono grossi problemi del genere anche in tutte le altre parti d’Italia); non ha fatto nulla per dare un’immagine credibile: il presidente della regione siciliana poche settimane fa ha dichiarato pesantemente che le Usl, cioè le unità sanitarie locali siciliane, subiscono e non resistono a grossissime pressioni mafiose, decisive – ha detto – addirittura nella formazione degli esecutivi, cioè che sostanzialmente si sono inseriti anche lì pesantemente i mafiosi, perché le Usl oggi ambiscono a enormi quantità di denaro per quello che dovrebbe essere l’adempimento delle condizioni di salute di tutti i cittadini. In realtà si disperdono in mille rivoli, creando anch’esse una sanità allo sfascio.
Che cosa si è fatto per dare allo Stato in queste regioni – e comunque dovunque in Italia – un’immagine credibile? Si è fatto ben poco: non ci si è posti questo problema, sino a quando questo problema non sarà stato risolto, ed è ovviamente un problema che interessa tutti e non soltanto i siciliani, ci ritroveremo la mafia sempre più forte, sempre più presente di prima. Prospera su questo, sulla mancanza di credibilità delle istituzioni statuali. Questa mancanza di credibilità probabilmente c’è dovunque, più o meno accentuata. In Sicilia è soprattutto accentuata con riferimento alla mancanza di credibilità degli enti locali, quelli che stanno a più immediato, diretto contatto con i cittadini (mi riferisco al sindaco, ai prefetti, più al sindaco che ai prefetti, mi riferisco all’ente sanitario locale, ai vari enti o alle varie aziende che agiscono in sede locale, che sono quelle che il cittadino vede).
In realtà [questa mancanza di credibilità, ndr] c’è in gran parte anche nel resto d’Italia, e siccome la mafia – forte oggi della potenza economica enorme che ha per il traffico di sostanze stupefacenti – tende a operare in qualsiasi parte delle regioni italiane, ecco che questo diventa un problema di tutti; e [il problema si risolve, ndr] non gridando che il giudice deve arrestare più persone, o che la polizia deve presidiare di più le strade. La vera risoluzione sta nell’indagare, nel lavorare perché uno Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni, perché solo questa è la via che, con il passare degli anni – non si tratta di un fenomeno di facile o immediata risoluzione – ci porterà un giorno ad avere sì della criminalità (la criminalità si può contenere ma non si può far sparire del tutto, è un dato storico ormai accertato), ma non più questa pericolosissima forma di criminalità, il cui pericolo, la cui caratteristica principale sta proprio in questo: nel confondersi e nello stravolgere il senso vero delle istituzioni statuali.
Fonte il sole 24 ore.com
La mafia spiegata ai ragazzi
Paolo Borsellino
prefazione di Salvatore Borsellino, PaperFirst, Roma, pagg. 112, € 8